Sostanzialmente sì, anche se come già rilevato, in alcuni casi individuabili prima, rischia di essere inefficace: i pazienti con determinate tipologie di macchie e discromie dovranno sottoporsi ad altri trattamenti di natura estetica al fine di ottenere risultati di lunga durata.
Assolutamente no, funziona solo su denti naturali.
Non esiste una regola fissa, nel senso che ognuno di noi produce più o meno tartaro e ha peculiarità specifiche in bocca; molto dipende poi dalle abitudini del paziente, dalla sua dieta e dal fatto che fumi o meno e dalla sua igiene orale quotidiana; a seconda dei casi la frequenza corretta può variare da ogni tre mesi a dodici mesi. Sottoporsi a controlli almeno semestrali presso il proprio dentista di fiducia permette di sincronizzare la frequenza corretta sulla peculiarità di ogni paziente.
Non esistono tecniche di igiene più o meno efficaci ma tecniche diverse da adattare a casi specifici. L’importante non è la tecnica ma il come viene fatta. Per quanto riguarda invece ciò che preoccupa maggiormente i pazienti, cioè il dolore, esistono delle tecniche per ridurre al minimo il fastidio provato durante la seduta di igiene. Esiste una figura professionale, l’igienista dentale, che ha conseguito un apposito diploma di laurea, che si occupa di prevenzione, prevalentemente di igiene, trattamenti parodontali di levigatura delle radici, fluoroprofilassi, trattamenti desensibilizzanti, sigillature e sbiancamenti che inoltre può spiegare e mostrare al paziente le corrette tecniche di mantenimento per la salute del cavo orale. L’igienista è una figura professionale sanitaria riconosciuta dal Ministero della Salute e di cui è stato istituito recentemente anche un Albo. E' l’unica figura abilitata ad esercitare la professione, per cui è bene che il paziente verifichi se l’igienista dentale sia in possesso o meno del certificato di laurea.
Certamente sì e accade molto spesso, soprattutto in questo Paese, dove le persone sono mediamente disinformate su questo tema; uno dei motivi più importanti che dovrebbero spingere le persone a sottoporsi a frequenti sedute di igiene professionale dal proprio dentista o igienista è proprio quello di imparare le corrette tecniche di igiene quotidiane. Il professionista potrà consigliare l’utilizzo dello spazzolino idoneo alla personale situazione del paziente e mostrare altri strumenti complementari allo spazzolino necessari a far sì che l’igiene quotidiana sia effettivamente efficace.
I denti possono scurirsi per fattori interni ed esterni. Le macchie esterne sono quelle che si formano sulla superficie dello smalto e possono dipendere da tartaro, fumo o abuso di cibi come liquirizia, caffè, te,vino rosso o ancora dall’utilizzo di collutori che contengono clorexidina. Queste macchie si tolgono facilmente con l’igiene professionale effettuata dall'igienista, ma si riformano altrettanto facilmente mantenendo le stesse abitudini alimentari e in mancanza di un' igiene adeguata da parte del paziente. Nel tempo tuttavia, le pigmentazioni dovute a fattori esterni possono penetrare all’interno dello smalto determinando delle discromie non più rimovibili con il semplice trattamento di igiene. I fattori interni invece agiscono durante la formazione del dente stesso. Possono essere diversi, ad esempio: l’uso di particolari antibiotici durante l’infanzia o anche da parte della madre in gravidanza che dà ai denti una colorazione scura a bande orizzontali; l’eccesso di fluoro durante l’epoca di formazione dei denti che causa la fluorosi, cioè una colorazione dei denti che va dal bianco al marrone; la bilirubina dei soggetti talassemici; anomalie congenite nella formazione dello smalto e della dentina che prendono il nome rispettivamente di amelogenesi o dentinogenesi imperfetta. Ancora, un altro fattore interno è rappresentato da traumi del dente o da terapie canalari scorrette che provocano la discromia del dente, per rimediare al quale esistono sistemi di sbiancamento appositi.
Come tutte le procedure cliniche estetiche è sicuro se viene eseguito da un operatore esperto e con i materiali e i protocolli corretti. Se si fa riferimento all’efficacia dello sbiancamento, non tutti i casi ottengono lo stesso risultato; ci sono particolari discromie che non hanno la possibilità di modificarsi in maniera soddisfaciente con lo sbiancamento professionale tradizionale; di questo, deve essere reso edotto il paziente e gli devono eventualmente essere suggerite terapie alternative, anche di natura estetica. Infatti, l’efficacia dello sbiancamento dipende fondamentalmente dalla tipologia di macchie presenti sui denti. Va poi ricordato che le sostanze sbiancanti non agiscono se i denti sono coperti da tartaro o macchie di fumo e nemmeno funzionano sulle otturazioni e le corone protesiche, anche per questo viene prima eseguita una detartrasi professionale sui denti. Più in generale le sostanze sbiancanti non sono dannose per lo smalto, questo sempre che vengano utilizzati materiali professionali sicuri e certificati. In alcuni casi può verificarsi un effetto collaterale del tutto transitorio, ovvero una maggiore sensibilità al caldo e al freddo che può essere in parte mitigato con l’applicazione di un gel al fluoro, fino a scomparire spontaneamente nel giro di qualche giorno.
La tecnica sbiancante utilizzata (energia luminosa più gel sbiancante) può determinare uno schiarimento fino ad un massimo di 9 gradi di tonalità, tuttavia va subito detto che ogni paziente fa caso a sè. Nei casi più critici potrebbero essere necessarie più di una seduta. Il trattamento sbiancante può essere effettuato anche per armonizzare il colore dei denti naturali con una corona e un ponte esistenti o in previsione di un loro rifacimento. Si cerca sempre di far comprendere ai pazienti che non tutti possono avere i denti bianchissimi come quelli che ci propone l’immagine di talune stars. Anche in quei casi, molto spesso i denti sono stati ricoperti da faccette estetiche realizzabili in laboratorio. Ognuno di noi ha un colore naturale che non può essere modificato, quello che andiamo ad eliminare sono le pigmentazioni dovute essenzialmente all’alimentazione, caffè, tè, fumo etc, che inevitabilmente penetrano all’interno dello smalto. In base alle abitudini personali di igiene e all’uso di sostante pigmentanti, i denti, una volta sbiancati, potrebbero riscurirsi nel tempo. A distanza di un anno è possibile ripetere nuovamente lo sbiancamento professionale in tutta sicurezza. Concludiamo sottolineando che il trattamento è di pura natura estetica e che non ha nulla a che vedere con la salute del cavo orale, ma contribuisce al miglioramento e all’armonizzazione del sorriso, influendo sul benessere psicofisico del paziente.
La durata dei risultati è assolutamente soggettiva e dipende delle tipologie di macchie come abbiamo già detto; rimane da ricordare che sulla durata dell’effetto sbiancante incidono anche le abitudini del paziente: tabacco, caffè, tè, bibite con coloranti, determinate tipologie di sostanze acide, non adeguata pulizia quotidiana ecc, riducono la durata del risultato mentre invece regolari sedute di igiene orale e uso di dentifrici sbiancanti allungano la durata del risultato. In ogni caso è da sconsigliare uno sbiancamento con frequenza superiore all’anno.
No. Qualche paziente può avvertire una temporanea ipersensibilità dentale, normalmente di breve durata. Naturalmente, l’uso di mascherine protettive ed il rispetto dei protocolli rimangono essenziali onde evitare effetti negativi indesiderati.
Se bisogna sostituire un elemento perso e se non esistono controindicazioni all'impiantologia, la prima ipotesi è sicuramente quella piè¹ indicata. Infatti questo permette di non rovinare monconizzando i denti vicini, come invece è necessario fare nel caso della preparazione di un ponte.
La perdita di un elemento dentale non è ovviamente paragonabile alla perdita di un altro organo. Ciò non toglie che comporta una serie di conseguenze che sarebbe meglio evitare: atrofia dell’osso sottostante, spostamento dei denti vicini e quindi progressiva modifica dell’occlusione. Inoltre anche la progressiva estrusione del dente antagonista, che tenderà a spostarsi dalla sua sede per la mancanza di uno stop occlusale. Se si aspetta molto tempo l’atrofia dell’osso poi potrebbe essere talmente pronunciata da non permettere il riposizionamento di un impianto e del relativo dente in sostituzione del dente perso. Se non esistono particolari controindicazioni alla terapia implantare, il dente perso andrebbe subito sostituito con un impianto. Se invece l’impianto non è praticabile sarà il caso di installare almeno un ponte che non risolverà il problema dell’atrofia ossea, ma almeno eviterà la modifica dell’occlusione e l’estrusione del dente antagonista. Infatti, l’occlusione è un punto determinante sull’equilibrio dell’articolazione temporo-mandibolare ed essendo questa il fulcro della nostra postura (insieme all’appoggio del piede ed al campo visivo) possono innescarsi una serie di effetti indotti sia sul sistema muscolo articolare come anche sulla nostra postura generale con cefalee, dolori articolari diffusi, mal di schiena, ecc.
Non sempre è così. Nel caso del ponte,infatti, gli elementi protesici sono sempre di più dei denti da sostituire. Senza considerare il costo biologico legato alla preparazione dei denti contigui.
Sostanzialmente distinguiamo due grandi famiglie di protesi su impianti: quelle cementate e quelle avvitate. Ognuna di queste tipologie comprende al suo interno un numero abbastanza elevato di varianti. I costi ovviamente variano in base al numero degli impianti e alla qualità del materiale protesico. Ma a prescindere dal problema del costo, quello che è importante capire è che il chirurgo dovrebbe decidere in favore dell’una o l’altra soluzione a seconda della peculiare situazione del singolo paziente. In generale, le protesi del tipo “toronto bridge” (cioè quelle avvitate su impianti) si adattano abbastanza bene alla gran parte dei casi. Ma esistono anche situazioni in cui questa soluzione non è preferibile per ragioni estetiche o per difficoltà di pulizia delle protesi. Come sempre, è il chirurgo implantologo che con un adeguato studio del caso e accurata visita e accertamenti preliminari può individuare, condividendoli con il paziente, una o più soluzioni che si adattano al suo caso.
No. Questa è una soluzione che, quando percorribile, permette di riabilitare un'arcata utilizzando solo 4 impianti. Il protocollo originale è stato implementato dal Dr. Malè² nella sua famosa clinica di Lisbona. Lo scopo per il quale Malè² aveva studiato questa soluzione è quello di riuscire a riabilitare arcate edentule con grosse atrofie ossee nella parte inferiore delle arcate (per capirci le zone dove sono situati i molari e i premolari), senza sottoporre il paziente a piè¹ invasivi interventi di rigenerazione ossea. Oggi queste soluzioni vengono proposte piè¹ con riguardo al risparmio di costi per il paziente che per altre caratteristiche. Di fatto, se il protocollo di Malè² viene eseguito correttamente, il risparmio è relativo perchè il costo dei monconi protesici che collegano gli impianti alla protesi è pressochè lo stesso degli impianti. Quindi in tutti i casi in cui sia possibile inserire 5 o 6 impianti senza rigenerare l'osso, un chirurgo prudente preferisce aumentare il numero degli impianti. Quello che il paziente deve capire è che in medicina non esistono soluzioni precostituite e valide per tutti e quindi non è detto che le soluzioni del tipo all on four facciano necessariamente al suo caso.
Sì. Può essere avvitata su impianti, può essere collegata a una barra a sua volta collegata agli impianti e può essere cementata agli stessi impianti. Per ognuna di queste tre macrocategorie possono esistere ulteriori sottovarianti. Queste protesi possono essere di tipo fisso o di tipo mobile.
Tipicamente le protesi di lunga durata hanno sempre un supporto, va poi chiarito che lunga durata non significa necessariamente a vita intera; detto ciè² esistono anche protesi senza supporto di lunga durata. Molto dipende dalla qualitè dei materiali, dalla congruitè della protesi all'origine e della manutenzione regolare della stessa. Ad esempio le protesi mobili ancorate agli impianti (soluzioni del tipo overdenture) se ribasate ogni anno (cioè riadattate regolarmente alle modifiche naturali del cavo orale del paziente) possono durare molti anni.
Le protesi fisse sono delle corone singole o ponti o protesi cementate sui denti naturali. Quelle su singolo elemento vengono installate su denti naturali che hanno subìto, a causa di processi cariosi molto avanzati e relative devitalizzazioni, una ricostruzione molto estesa divenendo quindi più fragili. Per evitare che il dente vada incontro a fratture, lo stesso viene ridotto a moncone e incapsulato per fini estetici oltre che funzionali. Nel caso in cui invece si installino ponti o protesi cementate, l’obiettivo è quello di restituire la masticazione nel caso in cui il paziente abbia perso più elementi, perduti naturalmente o estratti dal dentista perchè compromessi gravemente.
Diciamo anzitutto che tutti materiali utilizzati in protesi sono quelli che non comportano- allo stato delle conoscenze attuali – rischi di rigetto o di reazioni allergiche da parte dell’organismo. Poiché però esistono persone che presentano particolari allergie persino ad alcune leghe metalliche che non creano nessun problema a tutti gli altri pazienti, è importante individuare queste condizioni con la raccolta dell'anamnesi. Sotto questo profilo, è già evidente un motivo per il quale è necessario disporre di diverse tipologie di leghe. L'oro è forse il materiale più tollerato dal punto di vista allergenico. Altri motivi sono legati ad esigenze di tipo estetico oltre che di rapporto qualità prezzo. Tipicamente la corona è composta da due elementi. Un primo elemento strutturale interno, costituito da una lega metallica (metallo o oro, diverse leghe metalliche o oro metalliche) e una componente superficiale che intende simulare l’effetto del dente naturale, resine, ceramiche, disilicato di litio). Oggi si può costruire in determinati tipi di ceramica o in zirconio anche questo elemento strutturale interno, che poi verrà rivestito sempre con altri tipi di ceramiche molto estetiche.
I fattori fondamentali nell’esecuzione di una protesi sono legati alla competenza del dentista e del laboratorio odontoprotesico che la realizza, oltre che al corretto rispetto di tutti i passaggi previsti nei protocolli protesici. Una protesi realizzata con i migliori materiali ma non congrua alle esigenze occlusali del singolo paziente è una protesi che non funziona e che può comportare una serie di problematiche anche molto serie.
Assolutamente sè¬.
Le fasi essenziali di un buon lavoro protesico sono l’impronta, la realizzazione del moncone protesico, la realizzazione del provvisorio, le diverse prove necessarie alla costruzione di un congruo definitivo ed infine la cementazione del definitivo stesso. In particolare un' accurata presa delle impronte e la corretta monconizzazione del dente costituiscono probabilmente le fase determinante per una buona terapia protesica. Quando poi si protesizzano più elementi o addirittura una o due arcate, risulta di importanza fondamentale lo studio preliminare del caso si effettui con il montaggio in articolatore. Naturalmente, più il caso è complesso, più diventa importante lo studio accurato del caso e delle possibili alternative terapeutiche in condivisione con il paziente.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la protesi mobile, specie se realizzata ad arte, non è per niente semplice da fare. Per creare una protesi adeguata serve infatti uno studio preliminare molto scrupoloso, che richiede un protesista con competenze ed esperienze specifiche. La protesi realizzata, inoltre, va ribasata almeno una volta l’anno.
Normalmente sono sufficienti alcune settimane. Ci sono perè², variazioni notevoli da individuo a individuo, in relazione alla diversa tipologia dei tessuti gengivali e alle diverse situazioni di partenza.
E’ molto probabile, ma in meglio. Sia le labbra che le guance con la protesi avranno un miglior sostegno. Conseguentemente, sia l’aspetto delle vostre labbra che quello del volto e del profilo miglioreranno.
La protesi mobile di norma va ribasata una volta l’anno. Questo perché le arcate edentule subiscono uno progressiva quanto inesorabile atrofia ossea che modifica nel tempo l’appoggio della protesi. Per questo motivo la protesi stessa deve essere riadattata almeno una volta l’anno. Al bisogno in caso di comparsa di macchie che non si riesce a rimuovere con la pulizia ordinaria come anche di qualunque altro segnale di invecchiamento, è il caso di rivolgersi al dentista per una manutenzione più approfondita. Di norma, questa manutenzione può essere effettuata contestualmente alla ribasatura e quindi a cadenza annuale.
E’ bene cominciare con una dieta liquida o semiliquida e poi (dopo la prima settimana) cibi morbidi e tagliati a piccoli pezzi. E’ il caso di usare tutte e due le parti della bocca per masticare. Non utilizzare i denti incisivi per tagliare i cibi. Vanno evitati i cibi duri o troppo caldi.
Leggere ad alta voce. Pronunciare parole difficili. Provare a parlare più lentamente del solito. Se la protesi si muove, è il caso di rimetterla a posto facendo attenzione nel riposizionarla delicatamente al posto giusto – quello indicatovi dal dentista – e poi chiudere la bocca deglutendo.
Puè² accadere soprattutto nei primi tempi di utilizzo (protesi nuova o ribasata) in conseguenza del fatto che i muscoli della bocca non sono abituati a questo corpo estraneo e la lingua agisce come una leva per controllarne la stabilitè . Fino a che la protesi non è stabile in bocca, è il caso di tornare dal dentista per gli opportuni adattamenti.
Se la dentiera è stata realizzata correttamente e quindi è perfettamente aderente alla gengiva non dovrebbe accadere, e se accade è ovvio che bisogna tornare dal dentista. Se invece ciò accade passato un certo tempo dalla realizzazione della protesi nuova o dalla ribasatura significa che i punti di appoggio si sono modificati in conseguenza dell’atrofia ossea e quindi possono crearsi degli spazi dove possono infiltrarsi i residui di cibo. E’ chiaro che in questi casi occorre una ribasatura.
Esistono compresse detergenti studiate apposta per sciogliere i residui di pasta. La semplice acqua non è sempre sufficiente a garantire una perfetta pulizia.
Accurata igiene orale e manutenzione regolare dal dentista vi permetteranno di avere sempre una dentiera pulita e di bell'aspetto.
La parodontite è una malattia multifattoriale, che può presentarsi con diversi livelli di gravità. Molto spesso il paziente sottostima la presenza della malattia stessa in quanto gli esordi sono subdoli e i segni clinici non appaiono in maniera vistosa ad un occhio non esperto. Anche i sintomi sono tardivi e quando si manifestano si è già prodotto un danno ai tessuti. E' causata da determinate tipologie di batteri, ma sono necessari altri fattori predisponenti legati al sistema immunitario e agli stili di vita. Clinicamente si manifesta con una infezione che interessa in un primo momento la gengiva (gengivite) fino a coinvolgere l’osso che sostiene i denti. Non è ereditaria in senso stretto, ma quello che si può ereditare è la predisposizione, ed in alcuni casi può essere associata a malattie come il diabete. Inizia come gengivite, che è reversibile, ma, se non curata, tende a cronicizzare e ad attaccare strutture come il legamento parodontale e l'osso sempre più in profondità. Per questo è importante diagnosticarla precocemente, quando, in una bocca per il resto sana, viene individuato anche solo un punto in cui la gengiva non è più aderente alla radice. Questo è il primo segno che potrebbe far sospettare la malattia. Quando l’osso è interessato da una infezione, si ritrae ed è per questo motivo che, nei casi più gravi, la parodontite può causare dapprima la mobilità e successivamente la perdita completa dei denti. In situazioni normali la parodontite si cura con protocolli particolari che richiedono controlli molto frequenti in cui vengono praticate sedute di igiene, di levigatura radicolare (scaling) e di motivazione alla corretta igiene orale. E’ di assoluta importanza che il paziente collabori, diventando quasi maniacale nella pulizia dei denti e degli spazi tra i denti. Essendo il fumo di sigaretta un fattore aggravante, riuscire a smettere di fumare è di beneficio anche per questa malattia.
Si opta per la chirurgia parodontale. In una o più sedute operatorie vengono pulite la tasche in profondità “ a cielo aperto”, cioè aprendo un lembo gengivale. Quando è possibile vengono corretti anche i difetti ossei, e le gengive vengono predisposte alla guarigione. Naturalmente condizione necessaria per il trattamento chirurgico è il proseguimento della terapia parodontale, attraverso un mantenimento costante, rappresentato da controlli frequenti e igiene scrupolosa.
La piorrea è un termine di uso comune, quindi non un termine tecnico, per identificare la malattia parodontale grave.
Assolutamente no, molto dipende dalla tipologia dei batteri presenti nel cavo orale: esistono ceppi particolarmente resistenti che in qualche caso richiedono, oltre alla normali terapie, anche trattamenti antibiotici da associare alle normali cure. In questa sede non è possibile descrivere la vasta gamma delle situazioni possibili. Chiunque avverta i sintomi di questa malattia deve farsi visitare dal proprio dentista.
L’uso di determinate droghe è un elemento che può effettivamente causare la parodontite o accelerarne il corso, esattamente come il fumo, la scarsa igiene orale e l’utilizzo di spazzolini incongrui, in particolare spazzolini con setole dure che – lo si ricorda – non vanno mai usati su denti naturali ma esclusivamente su protesi; per i denti naturali vanno utilizzati solo spazzolini morbidi o medi.
Oltre alla parodontite e alla conseguente perdita di tessuto di supporto, altre cause di mobilità dentale sono il trauma occlusale, la presenza di infezioni endodontiche e la presenza di cisti. Le condizioni di mobilità dentale non riferibili alla malattia parodontale sono in genere reversibili una volta rimossa la causa che le aveva prodotte.
Si tratta di un fattore assolutamente soggettivo che può anche variare per lo stesso individuo nel tempo. Le cause principali di una insorta sensibilità dentale che prima il paziente non avvertiva, sono rappresentate da varie forme di erosione del dente legate al tempo e all’usura, le retrazioni gengivali o le conseguenze di terapie conservative o protesiche. In particolare le retrazioni gengivali possono provocare sensibilità gengivali e dolore paragonabile a quello delle carie profonde. Nei casi più lievi l’utilizzo di colluttori o dentifrici specifici possono risolvere il problema.
La gravidanza è un periodo particolare in cui, a causa di squilibri ormonali, la donna è più esposta a rischi di infiammazioni gengivali. C' è da dire però che con una igiene orale accurata e con sedute più frequenti di igiene professionale questi rischi vengono minimizzati. In gravidanza, soprattutto nel trimestre centrale, possono essere effettuate quasi tutte le terapie, posticipando solo quelle più impegnative. L' igiene orale è invece un aspetto cui dedicare sicuramente maggiore attenzione in questo periodo.
Non comporta necessariamente l’estrazione di tutti i denti, tutt’altro. Solo nei casi di parodontite avanzata, quando non ci sia collaborazione da parte del paziente, il dentista può optare, in accordo col paziente stesso, per la bonifica totale e ripristino della dentatura con protesi mobili o impianto – supportate. Va tenuto presente che la bonifica totale unita agli altri trattamenti normalmente previsti e già descritti, comporta anche la mutazione della flora batterica e riduce i siti infettivi.
Il miglioramento della funzionalità dell’occlusione e quindi della masticazione, della bellezza del sorriso e più in generale dell’armonia dell’aspetto del viso. Va anche ricordata la facilità con cui denti ben allineati possono essere puliti, con evidenti vantaggi nelle prevenzione di carie e parodontopatie.
Ci sono delle indicazioni che vanno valutate dallo specialista, ma in generale, tutte le volte che si hanno disallineamenti pronunciati dei denti è il caso di sottoporsi a una visita per stabilire insieme allo specialista se è il caso di intervenire. Nel caso di bambini una prima valutazione può venire dalle visite del pediatra a cui è sempre bene far controllare la salute e la posizione dei denti.
Ci sono delle indicazioni che vanno valutate dallo specialista, ma in generale, tutte le volte che si hanno disallineamenti pronunciati dei denti è il caso di sottoporsi a una visita per stabilire insieme allo specialista se è il caso di intervenire. Nel caso di bambini, una prima valutazione può essere stabilita dalle visite del pediatra a cui è sempre bene far controllare la salute e la posizione dei denti.
La durata è variabile, dipende dal tipo di problema da trattare, mediamente da pochi mesi ad un massimo di tre/quattro anni nell’adulto. Nel bambino in crescita, invece, in relazione all’eruzione dentale e alla maturazione scheletica possono rendersi necessari più cicli di terapia ortodontica alternando dei periodi di trattamento ad altri di attesa. Può, ad esempio, essere necessario un trattamento in due tempi, uno di cosiddetta ortodonzia intercettiva in dentizione decidua o mista, e un secondo dopo l’eruzione dei denti permanenti.
Si può avvertire qualche fastidio i primi giorni dopo l’applicazione dell’apparecchio o in seguito alla sua attivazione. A volte interviene una lieve dolenzia dentale spontanea e alla masticazione. Nel giro di pochi giorni i fastidi vanno ad attenuarsi fino a scomparire.
Si è possibile. Il combaciamento dei denti è strettamente connesso alla attivitè funzionale della muscolatura masticatoria e dell'articolazione temporo - mandibolare. Non è detto che accada sempre ma puè² accadere e queste disfunzioni possono sostenere mal di testa, mal di schiena e altre nevralgie. Non sempre questo tipo di problematiche possono essere risolte con l'ortodonzia. A volte puè² essere necessario l'intervento dello gnatologo, del posturologo, del fisiatra o di altri professionisti.
No non sono tutti uguali. Distinguiamo innanzitutto apparecchi fissi e apparecchi mobili, all’interno di queste due macrocategorie esistono poi ulteriori varianti. Ultimamente sono stati messi a disposizione dell’ortodonzista anche apparecchi invisibili o meglio poco visibili. Al di là di queste categorie tecniche va sottolineato che l’apparecchio è lo strumento per raggiungere un fine, che è la terapia ortodontica stabilita per ogni singolo paziente in base alla diagnosi dello specialista. Solo dopo aver analizzato tutti dati relativi alla malocclusione da trattare, e solo dopo averli combinati alle aspettative del paziente, può essere selezionato l’apparecchio ortodontico adatto al caso che è costituito dai componenti necessari per i movimenti dentali stabiliti per quel paziente. Per cui, apparecchi apparentemente simili hanno azione diversa per ogni paziente in relazione alle esigenze personali del soggetto trattato.
La contenzione è una cura che si effettua alla fine del trattamento ortodontico per stabilizzare la correzione appena effettuata. Va sempre eseguita indipendentemente dal tipo di terapia e di apparecchio utilizzati. Le contenzioni constano in dispositivi rimovibili oppure in dispositivi incollati ai denti chiamati retainers o splints.
Alcune tipologie si possono prevenire attraverso il controllo dei fattori ambientali in grado di influire negativamente sulla crescita di mascellari e sullo sviluppo della dentatura. In generale, va tenuto presente che le abitudini cosiddette viziate (come per esempio il succhiamento protratto del succhiotto passatempo o del dito), nel periodo di formazione della dentatura, da quella decidua a quella permanente, interferiscono con la corretta disposizione dei denti all’interno di ciascuna arcata e con la formazione di un buon ingranaggio occlusale. Altra prevenzione è quella che può effettuare l’ortodonzista intercettando e rimuovendo i problemi che possono ostacolare il corretto sviluppo della dentatura: per esempio il morso crociato (cosiddetto “palato stretto”).
L’apparecchio ortodontico, in particolare quello fisso, rende più complicate le manovre di igiene orale personale e facilita il ristagno di cibo, ma in sè non causa carie. Se nel corso del trattamento si seguono in maniera scrupolosa le istruzioni per l’igiene ricevute dall’ortodontista o dall’igienista dentale, si possono evitare sia carie che infiammazioni gengivali.
Il non perfetto allineamento dei denti, entro certi limiti, può risultare compatibile con un' estetica del sorriso accettabile e con una funzione occlusale soddisfacente e non pericolosa. Le indicazioni al trattamento del singolo paziente vanno discusse con lo specialista a seguito di una visita accurata.
Si, vanno evitati gli eccessi di cibi e bevande dolci perché zuccheri e amidi possono generare una placca batterica adesiva e molto acida che può causare la carie e favorire malattie parodontali. E’ buona regola, nel corso del trattamento, tagliare a piccoli pezzi cibi duri come le carote e le mele e non masticare cubetti di ghiaccio o in generale cibi duri e croccanti che possano staccare gli attacchi ortodontici o danneggiare i fili. Cibi filamentosi, gomme da masticare o caramelle appiccicose, oltre a tutto il resto già descritto, sono estremamente difficili da rimuovere dall’apparecchio.
L’unico a poterlo dire con certezza è lo specialista ortodontista. Il paziente però, può già da solo individuare alcuni segnali che rendono opportuna una visita con l’ortodontista: spazi, rotazioni, inclinazioni oppure affollamenti fra i denti. Qualche volta i segnali non sono così evidenti e il combaciamento sbagliato può comportare spostamenti o consumo anormale dei denti. Come detto una prima indicazione nei bambini può venire dalla visita del pediatra.
Le visite ortodontiche hanno normalmente una frequenza ogni 4/6 settimane.
Si, è possibile perchè un dente incapsulato si muove proprio come un dente naturale. Al contrario, un impianto dentale è inamovibile e non puè² essere spostato.
Considerato che alcune occlusioni scheletrico dentali si possono trattare intorno anche in dentizione decidua, i bambini vanno visitati quanto più precocemente possibile per una prima valutazione. Non è detto comunque che alla visita debba seguire immediatamente il trattamento. Va però tenuto presente che quest’ultima ipotesi, oltre che a fini di prevenzione è utile anche sotto il profilo del controllo di potenziali fobie per il dentista. Se il bambino si reca dal dentista le prime volte per una semplice visita non conserverà un ricordo traumatico di questo primo approccio e quindi si recherà dal dentista con una relativa serenità.
No, la situazione non si risolverà da sola se esistono problemi, anzi, in questi casi è meglio intervenire prima della dentizione definitiva. Infatti nella regione degli incisivi lo spazio non aumenta con la crescita e anzi, nella maggior parte dei casi, dopo la permuta lo spazio si riduce. Quindi, in chiave preventiva, è sempre meglio portare il bambino dall’ortodonzista prima della dentizione definitiva anche solo per una valutazione della correttezza della crescita oro-dentale.
No. Esistono apparecchi non visibili perché fatti di materiale trasparente o inseriti nella parte linguale dei denti. Nel primo caso la terapia consiste nell’applicazione di mascherine invisibili, trasparenti che aderiscono perfettamente ai denti del paziente e che possono essere rimossi anche dal paziente (anche se vanno indossate h24). Nel secondo caso abbiamo sempre un apparecchio fisso ma applicato nella parte linguale e quindi meno visibile della dentatura, solo l’ortodontista può dire se questi apparecchi sono adatti al caso specifico e il paziente deve comunque sapere che sono soluzioni più costose rispetto agli apparecchi tradizionali.
Per carie dentaria si intende la demineralizzazione progressiva dello smalto e/o della dentina a causa di un attacco batterico che favorisce la formazione di una cavità, più o meno profonda, che dalla superficie del dente si estende in profondità fino ad interessare la polpa dentaria nei casi più gravi come la carie complicata. La sintomatologia più frequente nella carie non ancora complicata può essere un dolore acuto a fitta che si estingue immediatamente allo stimolo termico a causa del contatto con il dente di cibi particolarmente dolci, salati o acidi. Molto più spesso la carie decorre a lungo asintomatica e per questo motivo è opportuno sottoporsi con regolarità a controlli dal dentista per intercettarle al più precoce stadio possibile. Quando infine, la progressione della carie invade la polpa compare un dolore sordo, persistente più a lungo fino ad arrivare, per infiammazione della polpa dentaria, alla cosìddetta pulpite acuta con dolore continuo e pulsante. Premesso che la predisposizione alle carie può variare da soggetto a soggetto per molteplici cause, è certo che comunque la carie dipende dai batteri cariogeni e dalle nostre abitudini alimentari e di igiene. Pertanto, per ridurre al minimo le iniziali demineralizzazioni, è opportuno evitare l’uso abituale di cibi poco consistenti e molto ricchi di zuccheri, effettuare una corretta igiene orale utilizzando i dentifrici fluorati e soprattutto sottoporsi a visite dal dentista con una certa regolarità, anche in assenza di sintomi.
Il dolore appare quando il processo carioso attraversa lo smalto e raggiunge la dentina; in questa fase si manifesta con sensibilità pronunciate a stimoli diversi. Se la carie non viene curata, il processo prosegue e raggiunge la polpa dentaria: in questa fase il dolore diviene spontaneo soprattutto di notte in posizione supina a causa della infezione irreversibile della polpa del dente.
La placca, comunemente detta batterica non è visibile ad occhio nudo ed è costituita da detriti alimentari, una rete di proteine e zuccheri e infine microrganismi come batteri e altri ( bio-film ). Si tratta del deposito di innumerevoli specie di microrganismi inglobati in una matrice formata da prodotti derivanti dal metabolismo batterico, cellule di sfaldamento della mucosa del cavo orale, sostanze che derivano dalla saliva, dal siero ematico e dagli alimenti. èˆ presente sempre normalmente ma diventa pericolosa quando si squilibra a favore delle specie batteriche patogene. Quando avviene, ciè² si trasforma nella causa riconosciuta universalmente dei processi cariosi e delle malattie gengivali e parodontali. Il tartaro si forma per calcificazione della placca dovuta ai minerali presenti nella saliva e questo costituisce il substrato per una maggiore adesione batterica.
Effettuare frequenti visite di prevenzione (solitamente ogni 6 mesi) è importante perché il dentista può evidenziare la presenza di una carie allo stato iniziale; questo comporta che la carie può essere curata con una otturazione minima, evitando che la stessa possa avanzare e distruggere una porzione più grande del dente. Ciò evita anzitutto la comparsa del dolore e la necessità di cure più invasive (devitalizzazioni e protesizzazione del dente residuo) e di conseguenza anche spese più ingenti per la cura. La differenza in termini di costo oltre che di invasività delle cure necessarie può essere molto elevata semplicemente curando la carie per tempo. Se la carie è individuata mentre è ancora confinata nello spessore dello smalto essa può essere guarita tramite semplici manovre come l’uso del fluoro senza necessità di asportare tessuto del dente e sostituirlo con una otturazione.
Premesso che la sensibilità al dolore (soglia del dolore) varia da soggetto a soggetto, è importante ricordare che quasi sempre quando compare il dolore significa che il processo carioso è già in fase molto avanzata. Quindi, curando il dente per tempo quando ancora non è insorto il dolore, si può risolvere il problema con una otturazione più piccola possibile. Si applicano pertanto i principi della “conservativa minimamente invasiva” per preservare al massimo il tessuto ancora sano del dente sostenendo, per di più, minori spese.
Se un dente può essere curato questa è la soluzione più vantaggiosa rispetto a qualunque altra alternativa. Per quanto l’odontoiatria si sia andata evoluta sul piano tecnologico, non esiste alcuna soluzione artificiale che possa eguagliare la qualità del proprio dente naturale. Quando poi il piano di terapia previsto preveda solo la estrazione del dente senza la sua sostituzione con una protesi fissa (ponte o corona su impianto) o mobile, allora si va incontro allo spostamento dei denti vicini a quello estratto con effetti destabilizzanti sulla masticazione e rendendo molto difficile la sistemazione protesica se riconsiderata nel futuro. Inoltre, nella zona idi estrazione, l’osso alveolare si riassorbe atrofizzandosiin modo tale da rendere, a distanza di tempo, molto più difficile se non impossibile l’inserimento di impianti endossei. In conclusione, non esiste alcun valido motivo, men che meno economico, per estrarre un dente quando lo si può curare.
Assolutamente sè¬ e bisogna farlo quando le carie sono piccole e non destruenti ed è possibile ricostruire validamente il dente. Non solo per evitare la comparsa del dolore che nei bambini è sempre un'esperienza particolarmente traumatica, ma anche perchè la salute del dente da latte rappresenta la migliore garanzia per quella del dente permanente, che puè² erompere in un ambiente orale giè sano, ed è importantissima per mantenere lo spazio per la permuta in arcata. Per questo è importante che i bambini si rechino dal dentista per delle visite preventive e non solo quando è assolutamente necessario per risolvere il dolore. L'approccio sereno con il dentista evita di creare fobie che spesso perdurano in etè adulta e permette di agire soprattutto inchiave preventiva piuttosto che curativa. L'unico caso in cui non è opportuno curare i denti da latte è quando gli stessi sono prossimi alla caduta per lasciare il posto ai denti definitivi.
Assolutamente sì! La prova di ciò è, che con il progredire della prevenzione e della educazione sanitaria in materia, la carie nelle attuali generazioni di bambini ed adolescenti è diminuita in maniera impressionante rispetto alle generazioni precedenti (attualmente circa l’80% dei bambini italiani di 4 anni e poco meno del 60% dei ragazzi italiani di 12 anni è privo di carie – dati Ministero della salute 2013). Ciò premesso, non tutti siamo uguali e esistono soggetti più o meno cario-recettivi per una miriade di ragioni diverse, ma è indubbio che una corretta igiene orale unita a buone abitudini alimentari possono notevolmente limitare il rischio di insorgenza delle patologie cariose in tutti i casi. Visite periodiche di controllo dal dentista e sedute di igiene orale professionale fanno il resto. L’uso quotidiano del fluoro topico con il dentifricio deve essere una abitudine salutare che ci accompagna per tutta la vita ma, in età pediatrica, possono essere utili anche la somministrazione di supplementi professionali di fluoro e la sigillatura dei solchi occlusali dei molari e dei premolari appena erotti.
E’ la branca dell’odontoiatria che si occupa dello studio del funzionamento fisiologico dei muscoli mascellari, della loro attività, dei movimenti della mandibola e dell’articolazione temporo-mandibolare. Si occupa anche di studiare le loro disfunzioni e di proporre delle soluzioni per correggerle.
La mandibola si connette alle ossa del cranio per mezzo delle articolazioni temporo – mandibolari destra e sinistra. Se appoggiate le dita ai lati del vostro viso davanti al meato acustico, aprendo e chiudendo la bocca, potrete apprezzare il movimento della mandibola nelle articolazioni temporo - mandibolari, le quali ci permettono di mangiare, parlare e sorridere.
Possiamo immaginare che le due articolazioni mandibolari destra e sinistra, siano come i cardini di una porta, e che la mandibola si apra e si chiuda ruotando attorno a questi cardini. La mandibola, oltre a ruotare attorno alle articolazioni, si può spostare anche in avanti e lateralmente a destra e a sinistra, permettendo anche movimenti asimmetrici. A rendere possibile questi movimenti sono:
a) Il menisco articolare che si trova nell’ articolazione tra la mandibola e l’osso temporale
b) I muscoli masticatori ed i legamenti.
Poiché questi componenti lavorano in maniera coordinata, un problema ad uno qualsiasi di essi può alterare questo complesso sistema creando un disturbo dell’articolazione temporo – mandibolare più o meno significativo.
Molte persone che soffrono di sintomi anche non direttamente riferibili alle strutture della bocca come mal di testa, rumori all’articolazione o tensioni ai muscoli della mandibola, potrebbero avere in comune dei disturbi dell’articolazione temporo – mandibolare (ATM) o al corretto funzionamento dei muscoli connessi.
Tali disordini indicano un generico stato di sofferenza neuro muscolare della testa e del collo causato da deviazioni nella postura della mandibola. Possono essere originati da una malocclusione dentale, da funzioni alterate come il bruxismo e il serramento dentale o in conseguenza di traumi come il colpo di frusta. Nella maggior parte dei casi questi disordini sono asintomatici in quanto vengono compensati dalla capacità di adattamento neuro muscolare di cui siamo dotati naturalmente. Tuttavia, si possono generare sintomi di intensità e caratteristiche variabili legati alla risposta individuale di ciascun paziente. In qualche caso le patologie dell’ATM sono caratterizzate da rumori di vario genere e grado (clicks articolari).
I principali sono tensioni muscolari dei muscoli masticatori, della testa e del collo, dolore in regione ATM che a volte si irradia al viso, clicks articolari aprendo o chiudendo la bocca, difficoltè ad aprire la bocca. In alcuni casi si possono riscontrare episodi di mandibola bloccata, dolore nello sbadigliare, nel masticare, o nell'aprire molto la bocca. A volte mal di testa o dolori al collo.
Questi disturbi sono più frequenti nelle donne (rapporto di 4:1 rispetto ai maschi) e con insorgenza più frequente tra i 20 e i 40 anni. Nella maggioranza dei casi l’esordio dei sintomi è spontaneo ma sono frequenti anche casi post traumatici (colpo di frusta). Più raramente il deteriorarsi della funzione masticatoria per patologie dentali o anche un ripristino protesico insufficiente possono provocare disturbi a causa dell’alterazione della naturale occlusione dentale. La diagnosi è sia clinica che strumentale e prevede visite e quando necessario, esami gnatologici specifici: radiografie e risonanza nucleare magnetica dell’ATM, Kinesiografia, elettromiografia dei muscoli che vengono utilizzate dallo specialista per procedere alla diagnosi. Di solito si agisce sull’occlusione tramite un bite gnatologico perché è il metodo più semplice e meno cruento per influire su muscoli e ATM che direttamente non sono trattabili in maniera non invasiva.
Uno dei sintomi più fastidiosi delle patologie dell’ATM è costituito dalla difficoltà di movimento della mandibola che limita l’apertura della bocca. Questo accade quando il menisco dell’articolazione, che incappuccia il condilo mandibolare, rimane incastrato in posizione sbagliata dopo un periodo in cui la disfunzione si era manifestata con rumori articolari.
Non è sempre possibile determinare l’esatta causa dei disturbi dell’articolazione temporo – mandibolare; tuttavia si ritiene che un fattore importante sia costituito dal sovraccarico di lavoro a cui i muscoli masticatori sono sottoposti in situazioni fisiche e mentali molto stressanti. Contrazioni prolungate dei muscoli masticatori possono dar luogo a tensioni muscolari e a contratture comportando un circolo vizioso che, se non interrotto, può portare, in alcuni casi, ad un disturbo cronico. Altri fattori aggravanti possono essere il digrignamento e il serramento dei denti (bruxismo) traumi, artriti, oltre a problemi di malocclusione.
È definito come una parafunzione in cui si ha l’abitudine non volontaria di digrignare i denti e/o di stringerli con forza (serramento) per periodi prolungati nell’arco delle 24 ore. È più frequente in età adulta, ma può insorgere anche nei bambini e si verifica soprattutto durante il sonno. Questa patologia può determinare, se cronicizzata, alterazioni dei denti, della postura e della attività dei muscoli coinvolti.
Un dente devitalizzato è più fragile perché la parte interna del dente che viene distrutto dalla carie è una delle parti più dure del nostro organismo. Per questo motivo si utilizzano cementi endocanalari e perni che hanno come scopo quello di irrobustire la ricostruzione del dente stesso. I materiali da ricostruzione non raggiungono però la stessa robustezza del materiale originario; soprattutto i molari e i premolari che hanno due o più radici sono più soggetti a fratture e proprio nella zona di biforcazione delle radici perché le forze masticatorie si scaricano proprio in quel punto e possono comportare nel tempo la frattura del dente; per questo motivo , dopo averlo ricostruito, è opportuno proteggere il dente con una capsula (o corona) che serve anche a fare in modo che le forze masticatorie si scarichino sul diametro della corona invece che in un punto specifico.
Quasi sempre si, con alcune eccezioni, quando ad esempio i canali radicolari non sono accessibili, il dente è fratturato, o non può essere ricostruito, o più semplicemente l’osso sottostante ha subito una grave atrofia al punto tale da non poter più supportare il dente; va tuttavia sottolineato che l’endodonzia ha raggiunto un tale livello di sofisticazione da rendere possibile il salvataggio di denti che, fino a pochi anni fa, sarebbero stati da estrarre. Esiste poi come alternativa la chirurgia endodontica che può permettere di salvare il dente per altra via. La via maestra però consiste nella prevenzione. Regolari sedute di controllo permettono quasi sempre di individuare la carie prima che la stessa si aggravi al punto da richiedere la devitalizzazione.
Un dente devitalizzato potrebbe, seppur in casi abbastanza rari, creare nuovi problemi. Nella gran parte dei casi ciè² accade perchè la devitalizzazione originaria non è stata condotta col pieno successo, il che non accade necessariamente per demerito del medico; in alcuni casi si potrebbero verificare restringimenti o deviazione del canale non curati o ancora devitalizzazioni che non hanno raggiunto l'apice radicolare (quindi tutta la lunghezza della radice dentaria). Per motivi che allo stato attuale sono ancora sconosciuti questi fattori a volte possono comportare infezioni sub-radicolari che possono richiedere un ritrattamento canalare. Il ritrattamento non sempre è praticabile perchè, specie se è passato troppo tempo dalla devitalizzazione, i canali possono essersi chiusi nel frattempo rendendo impraticabile il loro ritrattamento.
Al giorno d’oggi le tecnologie moderne e i progressi nel campo dell’anestesia hanno praticamente eliminato il dolore. È importante saperlo in modo da aiutarvi a diminuire la vostra ansia.
La maggior parte delle volte la devitalizzazione può effettuarsi al massimo in due sedute.
No. Si rimuove la polpa (capillari e terminazioni nervose), cioè quello che sta dentro le radici, non le radici.
In caso di necessità assolutamente si, l’unico problema consiste nel fatto che è meglio evitare radiografie almeno nei primi tre mesi di gravidanza. Esistono in realtà anche altre complicazioni che possono essere però agevolmente controllate se l’Odontoiatra lo ritiene praticabile nel caso specifico. In ogni caso, i nove mesi di gravidanza sono troppi per non intervenire quando esistono gravi problemi. Va tenuto poi presente che le donne in gravidanza sono particolarmente soggette a problemi legati ai denti e alle gengive proprio nel periodo della gravidanza stessa.
Se le cure sono state eseguite a regola d’arte e se successivamente alla devitalizzazione vengono eseguiti i protocolli protesici corretti, visite regolari dal dentista e una corretta igiene orale, il dente può durare per tutta la vita e/o comunque per un tempo molto lungo.
Si tratta di una ipotesi abbastanza rara nel senso che normalmente il dente da devitalizzare fa molto male. A volte può capitare che il dente abbia fatto male in passato ma che alla fine – in assenza di intervento medico - l’infezione abbia causato la necrosi del nervo; in quest’ultimo caso il dente non fa più male, ma la terapia canalare va comunque eseguita per eliminare l’infezione che segue la necrosi del tessuto pulpare. In altri casi, in presenza di determinate condizioni, si decide di devitalizzare un dente prima di incapsularlo anche se non fa male. Più in generale, tutte le volte che la polpa del dente appare danneggiata o infetta è meglio devitalizzare il dente indipendentemente dalla presenza di dolore.
In tutti i casi in cui le probabilità di riuscita della devitalizzazione appaiono forti è sempre meglio devitalizzare e salvare il dente, anche e soprattutto perché niente è meglio di un dente naturale; inoltre la perdita di un dente comporta: una progressiva atrofia dell’osso sottostante; il movimento dei denti attigui che tendono a riempire lo spazio; la modifica della funzione masticatoria che può comportare oltre che inestetismi anche una serie di effetti collaterali legati alla postura.
In linea di massima l'intervento non è doloroso, puè² essere piè¹ o meno indaginoso relativamente al grado di inclusione nell'osso, e al fine di evitare infezioni si prescrive preventivamente una terapia antibiotica oppure si prescrive la stessa terapia nel caso in cui l'infezione sia giè in atto rimandando l'estrazione di qualche giorno; poichè si opera con anestesia locale qualunque sia la natura dell'estrazione non si deve avvertire dolore. Puè² accadere dopo l'intervento di assistere ad un certo gonfiore che puè² raggiungere un picco fino a due giorni dopo l'estrazione per poi decrescere. In altri casi puè² formarsi un ematoma in quanto il sangue non potendo uscire dalla ferita suturata si accumula sotto la sutura, in altri casi, abbastanza rari, si puè² assistere alla comparsa di una piccola febbre con un leggero intorpidimento della zona.
I denti del giudizio o terzi molari erompono in una età compresa tra i diciassette e i venticinque anni. Nei casi in cui non c’è abbastanza spazio in arcata, in particolare in quella inferiore, lo fanno solo parzialmente (perchè il dente è parzialmente ricoperto dalla gengiva) oppure si posizionano obliquamente in posizione anomala. Accade anche che rimangano completamente inclusi sotto la gengiva oppure nell’osso: questo fenomeno prende il nome di disodontiasi e non costituisce necessariamente un problema, se però è accompagnato da altri sintomi, quali dolori, difficoltà ad aprire la bocca, ingrossamento dei linfonodi, o veri e propri ascessi, allora il medico deve valutare se è il caso di estrarli. In altri casi, pur in assenza di questi sintomi, il medico può valutare l’opportunità di estrarli preventivamente, infatti i denti del giudizio posizionati in modo anomalo possono provocare lesioni alla mucosa delle guance e alla lingua e ancora probabili carie dei denti vicini.
Non necessariamente, ogni caso va valutato a sè. E’ vero che in alcuni casi l’eruzione dei denti del giudizio può provocare l’affollamento degli incisivi superiori. Se si è avuto la possibilità di valutare questa situazione per tempo, il dentista avrà consigliato la germectomia (estrazione precoce del germe del dente del giudizio) ai fini di prevenire l’affollamento.
Qualunque persona in buona salute può ricevere un impianto endosseo. Non si effettuano interventi di implantologia solo nei bambini e negli adolescenti (fino al termine della crescita) e in alcuni pazienti che abbiano gravi problemi di salute tali da indurre prudenza nell’effettuare qualsiasi tipo di chirurgia.
Possiamo distinguere tra:
1) Problematiche generali come:
- gravi disturbi cardiovascolari
- diabete scompensato
- grave osteoporosi
- neoplasie in trattamento con radioterapia
- in particolar modo pazienti in cura con bifosfonati per il rischio di osteonecrosi.
2) Problematiche locali come:
- sinusite mascellari in atto
- gravissime atrofie ossee tali da sconsigliare interventi di chirurgia avanzata con innesti ossei.
L’età anziana non è una controindicazione all’implantologia. Un altro elemento di seria valutazione prima di procedere all’implantologia è la presenza di abitudini e comportamenti a rischio quali la poca motivazione all’igiene orale, abitudini alimentari, fumo ecc) che potrebbero compromettere il successo della terapia impiantare. Molto importante è la presenza di controlli frequenti nei primi dodici mesi successivi alla terapia. Passato il primo anno, almeno due volte l’anno.
In prima approssimazione sì, e va tenuto presente che dopo la perdita del dente naturale l’osso sottostante inizia a riassorbirsi e quindi a ridursi, quindi è possibile che non ce ne sia a sufficienza per poter alloggiare gli impianti. Per questo motivo sarebbe bene sostituire i denti con impianti in un tempo ridotto dopo la loro estrazione. Il riassorbimento dell’osso può essere non uniforme nelle diverse zone dell’arcata. Accade frequentemente che l’osso sia insufficiente nelle zone regione dove c’erano i molari inferiori e che rimanga in buona nelle zone centrali (premolari) e anteriori. In questi casi è possibile effettuare riabilitazioni totali con tecniche del tipo all on four o all on six(letteralmente tutto su o 6 impianti) inseriti dove l’osso è rimasto in quantità sufficiente per sostenere una protesi di tutta l’arcata. Nei casi più avanzati si può sempre ricorrere a innesti o tecniche di rigenerazione ossea che necessitano un’attenta programmazione e l’intervento di un chirurgo implantologo esperto.
Senza dubbio è sempre meglio un dente naturale. Va sempre ricordato che la terapia impiantare è una soluzione finalizzata alla sostituzione della dentatura naturale solo quando quest'ultima è irrecuperabile. Solo nei casi in cui un dente naturale sia stato estratto l'impianto è un evidente vantaggio in termini di risparmio biologico rispetto alla soluzione tradizionale del ponte che comporta necessariamente di ridurre, limandola, la superficie dei denti attigui. Ma la filosofia di base deve essere sempre molto ferma: l'impianto è una ottima soluzione ma non è paragonabile a un dente naturale.
Non esistono termini accertati di scadenza per gli impianti dentali, esistono casi ben documentati con follow-up di 20 e più anni; naturalmente, gli impianti devono essere sottoposti a regolari visite di manutenzione e controllo e richiedono un’igiene quotidiana molto attenta e dedicata. Questo sia nella fase di integrazione nell’osso, che può durare dai tre a sette mesi, che nel periodo successivo quando l’impianto viene caricato con le corone protesiche onde contrastare la formazione di infezioni della gengiva e dell’osso.
Allo stato attuale non esistono evidenze di una reazione del sistema immunitario rispetto agli impianti in titanio di cui sono costituiti. Il titanio è un metallo bio compatibile che non viene riconosciuto dal sistema immunitario come estraneo e non stimola nessuna reazione nè immunitaria nè allergica. Esiste però la possibilità di una mancata integrazione iniziale con l’osso o che si possa sviluppare un' infezione superficiale (mucosite) o più profonda (perimplantite). Queste infezioni insidiano la stabilità dell’impianto e sono in gran parte provocate da cattive condizioni igieniche di mantenimento. Altre condizioni che possono inficiare l’integrazione dell’impianto sono il fumo di sigaretta, l’uso di particolari farmaci contro l’osteoporosi (bifosfonati) o la presenza di alcune patologie sistemiche in presenza delle quali è sconsigliabile la terapia impiantare come per esempio il diabete non compensato. E’ quindi di vitale importanza la verifica dello stato di salute e delle abitudini del paziente che vanno monitorate nel tempo con regolari sedute di verifica e controllo.
Si fanno gli impianti perchè sia cosè¬! E, una volta che l'osteointegrazione è avvenuta, si deve poter usufruire dei denti nuovi come fossero quelli naturali. Nel periodo iniziale dopo l'intervento è invece opportuno evitare di sollecitare con troppi carichi gli impianti in integrazione. La percezione alla masticazione che si ha con gli impianti è molto simile a quella dei denti naturali.
Solo se vi sono controindicazioni o se i denti presenti risultano comunque da protesizzare con corone per un qualsiasi motivo può essere opportuno optare per una soluzione non implantologica. Preferire la soluzione implantare risulta vantaggioso anche perché:
- in questo modo si evita di toccare i denti vicini all’elemento perso per trasformarli in monconi;
- si preserva l’osso in relazione al dente perso che altrimenti si atrofizza nel tempo.
Infine anche dal punto di vista del costo la scelta non risulta penalizzante per l’impianto.
Esistono diverse variabili che dipendono dalla tipologia dell’intervento e dalla tecnica utilizzata. Comunque, il trattamento generalmente non risulta estremamente lungo né oneroso per il paziente. Non più di altre sedute comunemente affrontate dal dentista. In alcune procedure è possibile, ricorrendo al carico immediato, inserire gli impianti e confezionare nell’arco della medesima seduta una protesi provvisoria fissa o rimovibile a seconda dei casi. Naturalmente la terapia andrà perfezionata con una serie di interventi di controllo e con la sostituzione a suo tempo del provvisorio con un dispositivo protesico definitivo ma, per quello che interessa al paziente, è possibile in molti casi (purtroppo non sempre) costruire la dentatura e restituire una sia pur prudente masticazione in una sola giornata.
In taluni casi sì. Si tratta del cosiddetto impianto post estrattivo che può essere fatto quando vi sono le condizioni cliniche ottimali, in primis l’assenza di infezione. Quando è possibile vi è anche il vantaggio che spesso si può sfruttare la situazione per inserire immediatamente un provvisorio masticante. Non si può fare sempre, anche in considerazione delle specificità del paziente, ma quando è fattibile viene deciso dal chirurgo implantologo di concerto col paziente.
No. Esistono impianti diversi per forma, diametro, lunghezza e materiale di superficie. Inoltre gli impianti si differenziano anche per la sistematica di ritenzione del moncone implantare e per le componenti industriali per la confezione della protesi. Gli impianti devono essere necessariamente certificati e disporre di una componentistica compatibile che possa essere facilmente reperita per un eventuale manutenzione anche la distanza di tempo e indicativamente in qualunque parte del mondo.
Il carico immediato ha delle indicazioni per cui è previsto il successo, al di fuori di queste non va eseguito. Di sicuro avere i denti immediatamente risulta affascinante per il paziente ma deve prevalere l'esigenza terapeutica di una corretta procedura. C'è tanta informazione sanitaria e pubblicitaria a proposito, ma correttamente va informato il paziente dei rischi di insuccesso nel caso carico immediato non appropriato. In generale si corrono meno rischi se si realizza un carico immediato su piè¹ impianti rispetto al caso in cui si protesizzi immediatamente un singolo elemento.